La poesia greca ed il vino
Omero, i lirici, i tragediografi ed i commediografi greci cantarono abbondantemente del vino e delle passioni che portava con sè:
Portami un orcio, ragazzo,
ch’io tracanni d’un fiato,
mescimi dieci misure
d’acqua e cinque di vino,
perché di nuovo io celebri
senza violenza Dioniso
[…]
suvvia, non più di nuovo
tra gli urli e fra gli strepiti
beviamo, com’usano gli Sciti,
ma sorseggiando fra i bei canti.
(Anacreonte)
Ecco quindi il simposio, occasione importante della vita sociale greca, in cui persone della stessa eteria.
L’eteria era un’associazione politica tra nobili delle città greche tra l’VIII ed il IV sec. a.C. In tempi più recenti, società segrete patriottiche sorte in Grecia tra il XVIII e il XIX sec. con lo scopo di liberare la Grecia dalla dominazione dell’Impero ottomano.
I partecipanti si riunivano con lo scopo di scambiarsi idee ed opinioni; si trattava di un luogo in cui si sviluppava la cultura, accompagnando le discussioni con cibo e vino.
Anche Alessandro Magno, che pare fu grande bevitore, contribuì alla diffusione di questa bevanda.
In un’alta valle montana del Pakistan, almeno sino a pochi anni fa, una popolazione ancora pagana e non islamizzata chiamata Kafiri vinificava abitualmente l’uva che riusciva a coltivare; c’è chi vide in questo residuo etnico la traccia dell’arrivo dei soldati di Alessandro e della cultura greca.

L'arrivo in Italia
La viticoltura si spostò successivamente verso l’Italia che, all’arrivo dei primi coloni greci, venne battezzata Enotria, terra del vino (“oinos” in greco), per la quantità di viti che vennero trovate già sul posto; tuttavia occorre precisare che i coloni greci che arrivarono nell’VIII sec. a.C. denominarono Enotria tutta la parte meridionale della penisola e che taluni sostengono che il nome di Enotria derivi in realtà da un personaggio, Enotro, che a capo di un gruppo di Greci si trasferì in Italia, sbarcando sulle coste della Calabria, dove fondò una colonia, i cui abitanti da lui presero il nome di Enotri.
Comunque sia, nell’Italia centro-tirrenica il vino compare tra la fine dell’età del bronzo e l’inizio dell’età del ferro.
Per comprendere dove la vite fu domesticata per prima (vi sono teorie che contrastano con la sola origine caucasica, preferendo una quasi simultanea diffusione in più aree dell’Europa mediterranea e della mezzaluna fertile) si stanno svolgendo approfonditi studi genetici sulle viti selvatiche presenti nei pressi di siti archeologici.
In tutta la zona colonizzata dai Greci vi fu una vera e propria fioritura della civiltà del vino: vicino a Sibari venne costruito un vero “enodotto”, cioè un condotto di argilla che convogliava il vino nella zona portuale dove veniva raccolto in anfore e quindi imbarcato. Anche nella valle del Po si produceva vino: ancora una volta sono stati rinvenuti naturali ammassi di vinaccioli e, nel Veneto, le “situle”, bicchieri di terracotta per il vino (talvolta anche secchielli in bronzo decorato a sbalzo).
Anche gli Etruschi diedero impulso alla diffusione della viticoltura, studiando inoltre un particolare metodo di potatura (alcuni sostengono venga ancora adoperato in alcune zone vinicole del Novarese).
I Greci tendevano ad accostare la vite ad alberi di medio e alto fusto permettendo così alla pianta di arrampicarsi (pratica diffusa ancora presso Aversa, non lontano da Napoli).
In questo periodo preromano possiamo notare in Italia una viticoltura meridionale caratterizzata da un clima caldo, figlia della civiltà enoica delle culture mediterranee ed una settentrionale caratterizzata da un clima più fresco che si è sviluppata pare in ritardo.
Etruschi, Romani ed altre popolazioni dello stivale divennero così buoni viticoltori, facendo del vino una sostanza sacra ed allo stesso tempo quotidiana; Bacco (già Dioniso in Ellade) venne adottato nel Pantheon romano.
Ad Albinia, presso Orbetello, sono venuti alla luce i resti di un vestissimo complesso industriale che produceva anfore per il commercio con la Gallia.v
Roma repubblicana e imperiale
Grazie all’espansione prima della repubblica poi dell’impero, Roma contribuì così ulteriormente alla diffusione della vite e del vino; i legionari portavano con sé scorte di vino che all’epoca era già noto avesse proprietà antisettiche, seppur probabilmente di scarsa qualità e tendente naturalmente all’acetificazione. Presso gli accampamenti piantarono vigneti, talvolta in aree al confine dell’impero (in questo modo oggi troviamo zone vinicole molto a nord, presso il Reno, in Champagne, sul Danubio ed in altre aree vinicole). Plutarco narra che Cesare distribuì vino ai suoi soldati per debellare una malattia che aveva colpito l’esercito.
Roma diede poi innumerevoli autori che citarono il vino nelle proprie opere:
“L’acqua se ne vada dove vuole a rovinare il vino, lontano, fra gli astemi” (Catullo)
Spesso i capi di tribù barbare facevano uso di vino, per loro però molto costoso; pare che la botte[1] (o meglio sarebbe dire il barile) sia stata inventata dai celti (anche se taluni sostengono l’origine mesopotamica con utilizzo di tronchi cavi), più robusta nel trasporto via terra grazie alle sue doghe rispetto alle più fragili anfore che, dall’antico Egitto sino alla Grecia ed a Roma, restavano sino a quel tempo il principale contenitore vinario.
© Domenico Calvelli, Biella
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